Privacy e sicurezza sul web: un’esigenza contradditoria

Gli utenti web si indignano quando si parla di Datagate, quando si dice che i governi come quello degli USA sono capaci di scandagliare la rete e raccogliere dati privati sulla vita di ciascun utente e si chiede maggiore protezione, privacy e sicurezza per le attività svolte sul web.

Gli strumenti informatici e legislativi per difendersi – soprattutto in Europa – ci sono, ma quando si tratta di mettere in pratica determinate misure di sicurezza, la pigrizia e – a volte – l’ignoranza informatica prendono il sopravvento. Privacy e sicurezza diventano così delle esigenze effimere, da reclamare chiedendo che altri ci pensino, evitando di prendersene la responsabilità diretta.

Mentre la Commissione UE preme perché la riforma dei dati personali trovi la sua formula definitiva entro il 2015, mentre in USA si discute su libertà, neutralità e diritti del governo di curiosare fra i dati degli utenti internet in nome della protezione del Paese e mentre Snowden rilascia nuove interviste sui particolari più indignanti dello scandalo Datagate, gli utenti premiano la propria voglia di esserci, di fare gruppo, di avere un ruolo, di esprimere la propria opinione lasciando in rete tracce – non esattamente anonime – del proprio passaggio.

Foto su Facebook corredate da pettegolezzi su ciò che si compie quotidianamente, commenti agli articoli con cui si esprimono opinioni politiche e religiose, utilizzo di servizi per dare sfogo a quelle trasgressioni che permettono di dimenticare la routine quotidiana, necessità di comunicare con chiunque in qualunque momento, sono tutte azioni che si trasformano in un’incredibile mole di dati lasciati sul proprio conto, abbandonati alla mercé di chiunque voglia approfittarne nel bene e nel male.

E si perpetrano comportamenti che tendono a rendere ancora di più accessibili le proprie informazioni, senza tener conto che esistono schiere di phisher free-lance, hacker a ore e tante altre entità nascoste nel web pronte a divorare ogni singola informazione, per scopi commerciali, politici, sanitari e via discorrendo.

La necessità di essere online è incompatibile con la privacy?

Eppure gli utenti che tanto inneggiano alla privacy e alla sicurezza sul web, non fanno altro che attivare nuovi accessi, iscrivendosi ai servizi più disparati (a volte anche su siti di dubbia sicurezza), utilizzando login facilmente riconducibili alla propria identità, password sempre identiche o poco sicure e utilizzando indirizzi email personali, su cui si possono ritrovare tante altre informazioni utili sul proprio conto.

Così chi pensa di celarsi dietro a un avatar, a un nickname o a uno schermo, si trova a caricare immagini, a digitare i dati della propria carta di credito da cui è possibile risalire a diverse informazioni finanziarie e personali, a indicare il proprio mestiere, la propria preparazione scolastica, il proprio orientamento politico, sessuale e religioso.

E il bello è che spesso si forniscono tutti questi dati consapevolmente: si riempiono moduli di iscrizione senza pensare a privacy e sicurezza, purché si giunga alla pagina di conclusione che darà finalmente accesso al servizio, al software tanto desiderato.

A tutto questo si aggiunge l’irrefrenabile desiderio di gestire tutto online: gli utenti vogliono che la banca sia sempre aperta e pronta a gestire le nostre richieste, vogliono poter pagare le bollette evitando la fila in posta, vogliono inviare raccomandate, gestire i rapporti con il comune e gli altri enti locali, vogliono stare vicini ad amici e parenti mostrando loro ogni minuzia della propria vita quotidiana, desiderano essere in contatto con tutti e dire a tutti la propria posizione ovunque siano.

Insomma, non ci sono più una vita offline e una online, ma c’è una vita continuamente integrata. Mentre si lotta contro il tecnocontrollo, sono gli utenti stessi che si sottomettono (quasi volontariamente) a un tecnocontrollo edulcorato con servizi di ogni genere, erogati attraverso tablet e smartphone sempre collegati alla rete, con wi-fi e Bluetooth attivi e sensore GPS acceso. Senza pensare che, prima di tutto, bisogna proteggere da sé la propria privacy.

Essere online è importante, nel rispetto della propria privacy

Prima di reclamare privacy e sicurezza, bisognerebbe quindi analizzare i propri comportamenti e proteggere la propria identità online, cercando di:

  • rendere i contenuti su Facebook visibili ai soli amici, accuratamente selezionati;
  • evitare le pubblicazioni imbarazzanti e fortemente personali e correggere eventuali sbavature in questo senso, utilizzando strumenti come Facewash per ripulire la propria reputazione online;
  • utilizzare pseudonimi non direttamente riconducibili alla propria persona, evitando di usare anni e date di nascita anche nella scelta delle password;
  • scegliere password differenti, mai banali, ed evitare di svelarle a chiunque, anche ai propri partner, amici o colleghi più fidati;
  • cambiare le password molto spesso;
  • ricorrere a servizi di difesa dell’identità online come quello di alert di Google;
  • evitare di lasciare incustoditi e accessibili PC, smartphone e tablet, che dovrebbero essere dotati di password di accesso o di sistemi di riconoscimento biometrico;
  • ripulire di tanto in tanto la propria cronologia di navigazione e i cookie;
  • usare sistemi di autenticazione a due fattori lì dove è possibile (soprattutto quando si gestiscono informazioni finanziarie online);
  • crittografare sempre i dati inviati via web, utilizzando appositi algoritmi e verificando che i dati personali viaggino lungo connessioni protette con protocollo SSL;
  • proteggere i dati del proprio hard disk con programmi di crittografia.

Certo, tutte queste azioni richiedono tempo e spirito di volontà, che non sempre sono doti disponibili negli utenti che tralasciano i particolari per poi gridare alla mancanza di privacy e sicurezza sul web.

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