Instagram ha solo 3 anni e qualche mese. Nato da un’idea di Kevin Systrom e Mike Krieger il 6 ottobre 2010, oggi è la piattaforma di social photo-sharing più famosa e usata al mondo. Piccolo certo, ma con alle spalle una grande evoluzione: dall’inizio, quando si limitava alla condivisione di sole foto (con una diffusione in soli due mesi di ben 1.000.000 di utenti), fino all’ultima novità introdotta lo scorso dicembre l’Instagram Direct Message che permette di inviare foto con un messaggio privato ai singoli utenti.
La potenza di Instagram, così come per Twitter è racchiusa in due punti fondamentali:
- Il primo e più tecnico è l’utilizzo dell’hashtag che permette la ricerca globale delle foto e quindi la possibilità di utilizzare le stesse per contest, eventi e per la condivisione in gruppi.
- Il secondo, che definirei più psicologico, è la voglia di condivisione di immagini e attimi di vita: dal selfie più sfrenato (la moda dell’autoscatto in ogni dove), al paesaggio, al food (per la serie “sto mangiando questo”) e al fashion che rimangono i grandi must del mondo dei social media in generale.
Se è vero, così come affermano molti psicologi, che la potenza e il pericolo dei social sta nella necessità di pubblicare e condividere qualcosa per avere conferme sulla propria esistenza (“io esisto se tu mi approvi” diventando follower ed interagendo con me), è altresì vero che la fortuna di Instagram è stata quella di aver intuito per primo che fare una foto è fermare un attimo, ma non un attimo qualsiasi, un attimo della mia vita della quale ti faccio partecipe. Come? Condividendo all’interno di Instagram e contemporaneamente sui più forti social, ovvero Facebook e Twitter, con un solo click.
Polemiche inutili quelle nate inevitabilmente tra i puristi della foto che hanno gridato allo scandalo perché “le foto via instagram non sono considerate professionali”. Io credo che i due mondi possano convivere tranquillamente per due motivi: nascono da due concetti e per finalità e utilizzi differenti (non userò mai uno smartphone per fare uno stil life per intenderci) e poi, sinceramente, io sono convinta che Chris Anderson abbia ragione quando dice che ormai “siamo tutti makers”, ovvero produttori di contenuti. Perché quindi rimanere ancorati a vecchi schemi pensando che la foto via smartphone non sia ‘di qualità’ o a volte anche migliore?
In effetti, le continue migliorie tecniche che la piattaforma di social photo-sharing ha attuato in questi anni gli stanno dando ragione: oggi siamo a circa 150 milioni di utenti attivi, 16 bilioni di foto pubblicate, 1,2 bilioni di like ogni giorno, con una media di 55 milioni di foto condivise al giorno.
Oggi Instagram permette di apportare piccole modifiche alla foto scattata e di alcune migliorie tecniche, compresa l’applicazione di filtri che rendono le foto automaticamente più o meno contrastate o possono donare effetti vintage. È possibile produrre mini-video, taggare persone e, grazie alla connessione con altri social, cercare automaticamente i propri contatti. Da novembre 2012 i profili sono visualizzabili anche via web, basta inserire l’url composto da instagram.com/nomeutente.
Ma per Instagram il business dov’è?
A novembre 2013 Instagram lancia foto e video sponsorizzati e, facendo un passetto indietro, non va di certo dimenticato che nell’aprile 2012 Instagram è stato acquistato da un ‘certo’ Facebook. Che Mark ci veda lungo lo sappiamo tutti, no? Speriamo solo che non combini qualche scherzetto come ha appena fatto su Facebook (il cambio dell’algoritmo ha diminuito notevolmente la visibilità delle fan-page obbligando così all’acquisto di ADV per essere letti e visitati).
Attendiamo qui e vediamo cosa ci riserverà il futuro. Nel frattempo continuiamo a usare Instagram divertendoci e appassionandoci al social photo-sharing, ma vi prego, piano con quei selfie che dopo un po’…
Rosa
photo credit: Haags Uitburo via photopin CC