Quanti di voi hanno preferito accedere a Facebook con uno pseudonimo? Un nome che potesse essere riconosciuto da chi già vi conosceva e sconosciuto agli altri, ma che avreste potuto fornire a chiunque nel momento in cui avreste voluto farvi trovare?
Il pensiero dietro il nickname sui social è quello di auto-tutelarsi, permettendo di usare il sito senza essere disturbati e senza essere alla mercé di chiunque ci voglia trovare. Un modo di nascondersi che non piace molto a Menlo Park, che vorrebbe invece i suoi utenti sempre più visibili, riconoscibili, trovabili, per poter al meglio vendere i dati che, attraverso like, foto, commenti, posizioni, quotidianamente gli vengono forniti.
Da qui la battaglia di Facebook ai nomi fittizi. La policy sui “veri nomi”, infatti, costringe ad iscriversi con il proprio nome anagrafico, presentando documenti che ne attestino la veridicità. Niente più soprannomi di quando si era bambini o dei tempi del liceo, solo quello che c’è scritto sulla propria carta d’identità ha valore per Menlo Park e per il mercato che la sorregge.
Una policy dura che ha provocato reazioni e qualche caso mediatico. Tra questi l’italiano Paolo Attivissimo che racconta sul suo blog come si sia visto bloccare il profilo poiché Facebook considerava il suo nome falso. La cosa assurda è che seppure “Attivissimo” possa risultare un cognome eccentrico, è però quello scritto sulla carta d’identità del blogger. Tra gli altri casi quello della giornalista inglese Laurie Penny, iscritta a Facebook con un nome fasullo per arginare gli insulti sessisti e le minacce che derivano dal suo lavoro e costretta da Menlo Park a iscriversi col suo vero nome.
Una policy fastidiosa per i più, che ha ultimamente ricevuto, in Germania, una risposta all’altezza: il 29 luglio, infatti, la Data Protection Authority di Amburgo ha emesso una sentenza che dichiara illegale la politica perseguita da Facebook. Per l’ente tedesco costringere un utente ad usare il suo nome reale o modificare arbitrariamente i nomi di chi usa pseudonimi è una chiara violazione del diritto alla privacy. Non solo, l’autorità tedesca ha anche deciso che Facebook non potrà più richiedere documenti che attestino la veridicità del nome anagrafico. Una sentenza che si oppone alla volontà di Facebook di far valere la sua politica oltre le legislazioni nazionali, dicono da Amburgo. Secondo un articolo di Wired, anche in Italia, dove la legislazione è decisamente simile a quella tedesca, la decisione delle autorità non potrebbe essere diversa.
Una battaglia su uno degli aspetti più controversi dei social network che svela i problemi di legislazione ancora presenti e i pericoli nascosti in questi mezzi di comunicazione, usati, forse, con troppa leggerezza.
Voi siete sostenitori dei dati corretti o dell’utilizzo del nickname? Sareste disposti a mettere i vostri dati anagrafici se Facebook ve lo ordinasse o preferireste dire addio al social network? Raccontatemi la vostra!