Chi si occupa di web marketing ogni tanto si sarà fatto tentare dalla facile idea di acquistare follower sui social: una pratica che oscilla tra il lecito e l’illecito, tra il legale e l’illegale, e che però viene attuata – secondo percorsi e metodi differenti – in molte occasioni da realtà diverse. Viene spontanea, quindi, la domanda: alle aziende conviene comprare follower su Twitter e like su Facebook?
La risposta di base è ovviamente negativa, proprio perché si tratta di una pratica non onesta, però ci sarà pure un motivo se la compravendita di pacchetti di follower o di account sta diventando una tendenza sempre meno rara. Le aziende che puntano (anche) su questa strategia con il passare dei mesi diventano sempre più numerose: un modo per incrementare il passaparola attraverso un aumento delle interazioni social, che ha come obiettivo ultimo quello di fare crescere quantitativamente la clientela. Occorre mettere in evidenza in maniera chiara e inequivocabile, però, che la scelta di comprare utenti non ha niente a che fare con il social media marketing. E non solo perché gli utenti “acquistati” sono poco interessati all’azienda da cui si sono fatti “comprare”, e quindi non determinano alcun vantaggio concreto.
Il Search Engine Journal qualche tempo fa ha pubblicato un articolo dedicato a questo tema, nel quale ha preso in esame e analizzato con attenzione i risvolti e le possibili conseguenze cui possono andare incontro le aziende che si dedicano all’acquisto di follower. Quella che viene definita come Black Hat Social Media è, in realtà, una serie di attività che comprendono pratiche scorrette: l’acquisto di fan per fare salire i numeri ne è solo un esempio, ma altre tecniche utilizzate sono quelle che puntano sulla scrittura non veritiera di recensioni positive nei siti che raccolgono opinioni e quelle che si basano sulla condivisione di link ritenuti pericolosi. In questa scia si inseriscono anche il ricorso a software automatizzati che permettono di seguire determinati profili e la scrittura non veritiera di recensioni negative sulla concorrenza. Non va sottovalutata, poi, la realizzazione di profili falsi allo scopo di ottenere nuove informazioni, di condividere o semplicemente di scrivere commenti.
Tutto questo, però, ha effetti negativi: e non si tratta di un giudizio etico, ma di una presa d’atto pratica. L’impatto che tali tecniche hanno su Google e sulla SEO, infatti, è tutt’altro che positivo: è altamente improbabile che acquistare follower e like sui social media si traduca in un riscontro di successo, per esempio perché Google sa identificare tutte le azioni potenzialmente sospette. Nel momento in cui un canale di Youtube vede aumentare all’improvviso e in maniera repentina il numero di utenti iscritti, si sente puzza di bruciato; e la stessa cosa vale per una scia sospetta di recensioni positive. Le conseguenze, nel caso in cui un’azienda venga scoperta, possono essere diverse e non piacevoli: dal semplice blocco di un video alla discesa delle recensioni nelle SERP.
Ogni community che si rispetti, insomma, non può che basarsi sull’autenticità di chi vi prende parte: da questa dipendono anche reputazione e credibilità di un brand. Un marchio, quindi, piuttosto che comprare like e utenti farebbe meglio a coinvolgere in maniera attiva e concreta i fan che già ha, interagendo con loro e facendoli interagire: come detto, non c’è arma più efficiente (e conveniente dal punto di vista economico) del passaparola per attirare nuovi sostenitori del marchio e, quindi, nuovi potenziali clienti. Altrimenti, se i follower non ci sono, il marchio in questione dovrebbe cercare un consulente per la gestione dei profili social, che si impegni ad aumentare i follower con pratiche legali e user-friendly.