La Web Tax in Italia torna ad essere proposta come emendamento della legge di stabilità. Vediamo insieme di cosa si tratta, qual è la difesa di chi l’ha proposta (Francesco Boccia) e perché se ne discute tanto.
In questi mesi, abbiamo sentito parlare in varie occasioni della Web Tax (anche ribattezzata Google Tax), proposta dal presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia. La nuova tassa è stata da prima fermata in Senato, ma ora sembra essere riproposta come emendamento della legge di stabilità con variazioni minime, se non nulle, rispetto alla proposta originale.
Ma di cosa si tratta? In pratica, secondo questa nuova tassa, i committenti italiani dovrebbero acquistare beni e servizi online solo dalle aziende che operano con regimi fiscali congrui al nostro paese. Colossi come Google e Facebook dovrebbero munirsi di partita IVA (italiana) e non usufruire più delle agevolazioni fiscali dovute al paese dove hanno la sede europea (come l’Irlanda, dove l’IVA è al 15%, nettamente inferiore a quella del Bel Paese). La normativa europea inerente lo consente, mentre in Italia l’eventuale entrata in vigore della Web Tax sarebbe immediata ed in contrasto con quella degli altri paesi membri UE.
Francesco Boccia (e chi lo sostiene) si difende dai numerosi attacchi dicendo che le aziende web non dovrebbero obbligatoriamente munirsi di partita IVA italiana, tuttavia è chiaro che questo dovrebbe avvenire per forza, visto che i consumatori non potrebbero acquistare nulla dalle suddette. Sarebbe inoltre un deterrente per la concorrenza sleale che, sempre secondo Boccia, i commercianti italiani subiscono da parte dei colossi dell’ecommerce che operano nel nostro paese, ma pagano le tasse altrove. La mancata introduzione di un periodo transitorio creerebbe confusione e non renderebbe semplice passare a livelli di tassazioni superiori anche del 6%. Questo potrebbe scoraggiare non poco le imprese straniere che pensano di operare in Italia.
Qualsiasi strada prenderà la Web Tax, non si può che sottolineare la necessità di un chiarimento e di una presa di posizione in ambito comunitario, in modo che le norme siano vantaggiose per tutti i paesi dell’UE. Sarebbe auspicabile, infine, trovare un accordo che soddisfi tutte le parti in causa: Governo e, soprattutto, consumatore e venditore.