L’arrivo di Instagram ha rappresentato un grande cambiamento concettuale tra gli amanti della fotografia. Molti hanno gridato allo scandalo affermando che la fotografia just in time, non rappresenta la vera fotografia, quella classica, quella degli esperti del diaframma che hanno vissuto il cambiamento e malinconicamente rimpiangono l’era dei rullini.
Dall’impressionismo a Instagram passando dalla soggettività dell’artista
Io non sono fotografa, ma per lavoro uso molte immagini. Quando sento ragionamenti di questo tipo mi viene in mente la storia degli impressionisti e perché la loro corrente artistica è stata chiamata così. Il nome è stato coniato dai critici d’arte dell’epoca. Dopo la prima manifestazione organizzata da “alcuni” artisti (stiamo parlando ad esempio di Monet, Degas, Sisley, Renoir e Cézanne) che si tenne il 15 aprile 1874 presso lo studio del fotografo Felix Nadar, i critici che la visitarono la definirono “Exposition Impressioniste” prendendo spunto dal titolo di un quadro di Monet, “Impression, soleil levant”. Quella che inizialmente aveva un’accezione negativa è diventata al contrario nome del movimento.
Una delle caratteristiche fondamentali degli impressionisti è quella definita la prevalenza della soggettività dell’artista, delle sue emozioni che non vanno nascoste o camuffate, ma espresse con rapidi colpi di spatola creando un alternarsi di superfici uniformi e irregolari. Questo modo di pitturare divenne il punto di partenza per le ricerche successive degli impressionisti. Ma, un momento: l’espressione della propria soggettività e la condivisione di emozioni non sono la base del coinvolgimento, dell’engament social che tutti noi perseguiamo?
Non basta una foto per essere fotografi: vai oltre!
Quando si parla di tecnologia e di nuove opportunità spesso tendiamo a guardarci indietro descrivendo ciò che è stato come il meglio, qualcosa che non tornerà mai. È normale, però oggi come allora quello che fa la differenza è la persona, la voglia di esprimersi.
Parliamoci chiaramente: oggi come dice Anderson “siamo tutti makers”, produciamo tutti contenuti. Le possibilità sono immense: blog, foto, video, stampati. Potenzialmente siamo produttori di qualsiasi cosa. Oggi la tecnologia degli smartphone è talmente alta da permettere scatti ad altissima risoluzione. La possibilità di connettersi (e lo stesso Instagram lo fa) permette di ritoccare e rielaborare velocemente le nostre foto.
Questo ci rende tutti fotografi? Sì, potenzialmente. No se non capiamo che dobbiamo andare oltre. Non basta una foto condivisa, serve anche qualità e cura, creatività e voglia di creare interesse. Allora sì potremmo definirci degli appassionati (o esperti) di photo mobile.
Follow me: Osmann e il suo tour del mondo tra le mani della fidanzata
Murad Osman classe 1985, russo. Nel 2001 lascia Mosca, in cui si era trasferito, per andare a Londra dove si diploma in ingegneria civile all’Imperial College. Non ha mai accantonato l’amore per la fotografia e, evidentemente, per la sua ragazza tanto da farlo diventare una serie di scatti meravigliosamente creativi. Lui fotografa la sua fidanzata di spalle, mentre la tiene per mano. La serie si chiama appunto Follow me e la sensazione è quella che lei lo stia trascinando alla scoperta delle varie città: da Venezia a Mosca, a Londra o in Oriente, dalla Spagna a una foresta tropicale. Il risultato è sorprendente: fotografie che sembrano quadri, interesse e engagement da parte dei suoi tantissimi followers (ad oggi più di 1.000.000) e la voglia di attendere il prossimo scatto.
Possiamo definire questo progetto una “non foto”?
Utilizza tecnologia moderna e non tradizionale? Vista la qualità delle immagini è possibile pensare che le foto siano scattate e poi caricate su Instagram? Se così fosse ancora meglio! Avremmo trovato un nuovo anello di congiunzione tra il classico-passato e il nuovo-futuro. Ciò che è importante evidenziare è che oggi la potenza sta nella condivisione. Quelle foto sono viste da milioni di persone e questo serve a Murad per promuovere la sua attività di produttore. Se però le foto non fossero creative, curate, calibrate, cromaticamente perfette, pensate e ideate in un progetto che crea una storia e una continuità, il risultato non sarebbe questo, ma la classica foto ricordo-souvenir che noi tutti scattiamo davanti al monumento di turno.
Tu vuoi raccontare la tua storia?
Pensiamoci la prossima volta che prendiamo in mano lo smartphone. Pensiamo alla potenza comunicativa di una foto. Pensiamo a un progetto, alla qualità della foto. Pensiamo alla nostra gallery di posti in cui abbiamo scattato foto e pensiamo a quanto più belle potevano essere quelle immagini. Spendiamo due secondi in più e definiamo le impostazioni dello smartphone e se proprio non riusciamo a staccarci dalla modalità ‘automatica’, forse è il caso di pensare a un buon corso di fotografia digitale.
Perchè parlo al plurale? Perchè è un discorso che rivolgo innanzitutto a me, perchè sento la necessità di avere più cura delle foto che condivido, perchè anche io vorrei un giorno andare oltre.
Buona condivisione con immagini di qualità a tutti!
Rosa