Ritardi ciclopici nell’istruzione e nell’innovazione, evidente debolezza dell’iniziativa del Governo e delle autorità regolamentari nel promuovere un “volano” imprescindibile per la competitività. Risultato? L’Italia si mostra un paese poco vantaggioso per gli investimenti nel settore digitale. Per la precisione, il Bel Paese al momento naviga intorno alla 48esima posizione mondiale nella classifica stilata da tre enti, la World Economic Forum (Wef), la società di consulenza globale Booz&Co e la business school Insead, che hanno incrociato in 142 paesi le condizioni infrastrutturali e le competenze umane necessarie a fornire a famiglie e imprese le tecnologie informatiche e di comunicazione. Punti di riferimento in questa particolare graduatoria sono Svezia, Singapore e Finlandia, ma anche restringendo il campo d’analisi al vecchio continente, l’Italia si colloca appena 26esima.
I motivi del ritardo, le strategie per il rilancio
Le ragioni, a giudizio dei ricercatori che hanno condotto l’indagine, sono presto dette: standard insufficienti a livello di sistemi dell’istruzione e dell’innovazione, scarsa presenza di un’ambiente politico e regolamentare che conseguentemente ostacola il funzionamento complessivo dell’economia. Dall’altra parte le istituzioni sono in netto ritardo nello sforzo di spingere le tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni per aumentare la competitività.
Ma le ricette per promuovere una decisa inversione di tendenza fortunatamente non mancano. Anzitutto citiamo l’Agenda Digitale, che il ministro dello Sviluppo economico e delle infrastrutture Corrado Passera ha intenzione di presentare entro il prossimo mese di giugno. Altro suggerimento arriva da Cesare Mainardi, l’italiano appena approdato alla guida di Booz&Co, che nella prefazione allo studio sostiene come “Il successo nel mondo della digitalizzazione richiede sia ai politici che ai leader d’impresa di tornare alla lavagna per identificare e costruire le capacità per vincere nelle rispettive sfere d’influenza. La digitalizzazione moltiplica l’impatto della connettività, creando un sostanziale incremento di valore in termini non solo in termini di creazione di lavoro e di crescita economica, ma anche sul benessere della società e sulla trasparenza del Governo“.
Più tecnologia, e una politica più abile nella gestione
Non basta più assicurare l’accesso a internet e alle tecnologie digitali, ma bisogna far sì che tali strumenti vengano effettivamente utilizzati in un’ottica organizzata. Una prospettiva suggerita dal boom degli apparecchi informatici: il numero di personal computer utilizzati nel mondo è passato dai 100 milioni del 1990 agli 1,4 miliardi del 2010 con i telefoni portatili che nello stesso lasso di tempo sono schizzati da 10 milioni a oltre 5 miliardi di unità e gli utenti internet che sono passati da 3 milioni a 2 miliardi.
Lo studio Wef-Insead-Booz propone infine ai politici di spostare la loro attenzione dall’accesso alle reti per mettere in moto programmi e progetti che puntino all’adozione e utilizzo diffusi della tecnologia. E ciò include la digitalizzazione dell’agenda nazionale, l’evoluzione della struttura del governo e l’adozione di una prospettiva a ecosistema.