Un insieme di tecnologie che permettono, sotto forma di un servizio offerto da un provider al client, di memorizzare, archiviare o elaborare dati grazie all’utilizzo di risorse hardware/software distribuite e virtualizzate in rete. Parliamo, in altre parole, di Cloud Computing, strumento che in Italia raccoglie sempre più aziende proselite, soprattutto per quanto concerne la salvaguardia dei dati. Così sostiene l’indagine “Insights: Data Protection and the Cloud 2011” elaborata da CA Technologies sulla scorta di numeri inequivocabili: preso in considerazione un campione di realtà produttive, l’81% ha dichiarato di aver mantenuto costante o aumentato nel 2010 il budget per la protezione dei dati. Gli altri, intesi come il restante 19%, intendono invece accodarsi in breve tempo.
Via siti remoti e monitoraggio tradizionale
Un salvagente contro la perdita dei dati. La “nuvola”, come viene soprannominata, raccoglie il favore degli operatori del Belpaese: il 77% ne è pienamente convinto, l’86% di coloro che utilizzano cloud pubbliche ricorrono a dei Service Level Agreement (meccanismi contrattuali attraverso i quali si definiscono le metriche di servizio che devono essere rispettate da un fornitore di servizi). A giudizio degli analisti di CA, chi utilizza con questa funzione il cloud non deve necessariamente fare utilizzo di siti remoti, e non deve sprecare tempo per il monitoraggio dei sistemi di data recovery.
Buone intenzioni, ma anche diverse tare da superare
Nonostante il trend in forte crescita, in Italia solo il 17% delle aziende ammette di avere in dotazione sistemi di disaster ricovery adeguati. Tra le motivazioni abbiamo il mancato supporto e sostegno del top management (55%) e la preparazione inadeguata del personale IT nella pianificazione dei rischi e degli strumenti (43%). Rimane invece altissima, pari al 96%, la quota di società che nel 2010 hanno registrato episodi di perdita: le cause responsabili sono nell’ordine i sistemi informatici, attacchi esterni, ed errori umani.